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Spotify e i podcast di rumore bianco: prima li consigliava, ora vuole farli sparire

Fanno guadagnare sino a 18.000 dollari al mese

Un tempo, per addormentarsi (escludendo il ricorso a farmaci) si contavano le pecore. Poi si era passati all’ascolto, meglio se in cuffia, di brani rilassanti. Oggi si fa di più, e ci si affida al cosiddetto rumore bianco (white noise), sulle cui ipotetiche virtù distensive parleremo più oltre. Per ora ci basti sapere che si tratta di suoni caratterizzati dall’assenza di periodicità nel tempo e da ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze. Potremmo dire, in parole povere, che sono suoni costanti dati dalla somma di tutte le frequenze possibili. Proprio come il colore bianco, dal quale prendono il nome, che è la somma di tutti i colori presenti nello spettro elettromagnetico.

Oggi esistono programmi, o meglio ancora podcast, che rilasciano solo rumore bianco, allo scopo di far concentrare oppure rilassare, predisponendo quindi al sonno chi ha difficoltà a riposarsi. Ecco: sembra che Spotify abbia qualche problema con i podcast di rumore bianco. Perché?

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Spotify e i podcast di rumore bianco

È stato Bloomberg a scoprire, da un documento interno dell’azienda, che ora Spotify osteggia i podcast di rumore bianco, dopo averli consigliati a lungo. Stiamo parlando, per dare un’idea, di un fenomeno diffusissimo: si parla di qualcosa come 3 milioni di ore giornaliere di consumo.

D’altronde, basta digitare “Rumore bianco” su Spotify per constatare quanti e quali podcast appaiano. Suoni di cascate, piogge, mari che ribollono eccetera, sfruttati per trovare la concentrazione e soprattutto per scrollarsi di dosso le tensioni quotidiane e prendere sonno serenamente.

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Il business del white noise (chi l’avrebbe mai detto che ne esistesse uno) sino a poco tempo fa era vivamente consigliato dall’algoritmo di Spotify. E comprendeva un ampio numero di podcaster che, rinunciando ad arringare il pubblico con monologhi o interviste contrappuntate da suoni vari (e con un immane lavoro di postproduzione), guadagnavano dal puro e semplice white noise.

Spotify ora osteggia i podcast di rumore bianco

Peccato che il giro d’affari dei podcast di rumore bianco si ritorca contro Spotify: l’azienda (che presto annuncerà il rincaro del costo degli abbonamenti) perderebbe circa 38 milioni di dollari all’anno. Per questo, sempre secondo Bloomberg, Spotify sta radicalmente cambiando idea nei confronti di questa tipologia di podcast. In che modo?

Non è facile rispondere. Un portavoce della società avrebbe detto a Bloomberg che Spotify ha inizialmente pensato di rimuovere i podcast di rumore bianco, ma “la proposta non si è concretizzata: continuiamo ad avere questi podcast sulla nostra piattaforma”. Eppure, diversi utenti lamentano una forte riduzione di questi contenuti.

Il guadagno dei podcaster di rumore bianco

Quel che è certo è che, con uno sforzo tutto sommato contenuto, i creatori di podcast di rumore bianco hanno il loro bel guadagno. Se ad esempio si sceglie un piano di ricavi solo dalla pubblicità, si mettono in tasca 12,25 dollari ogni 1000 ascoltatori. E se, come riporta Bloomberg, la media degli ascolti giornalieri per i podcast di rumore bianco di maggior successo è di circa 50.000, il conto è presto fatto. Stiamo parlando di 612,50 dollari al giorno, quindi 18.375 al mese.

La protesta della case discografiche

Contro i lauti guadagni dei podcast di rumore bianco hanno preso posizione, lo scorso maggio, case discografiche del calibro di Universal Music Group e Warner Music. Che hanno reputato iniqua una retribuzione analoga tra chi offre solo un po’ di… rumore, rispetto a star musicali di respiro internazionale.

Mentre uno dei principali motivi che contribuirebbero al mancato introito di Spotify potrebbe essere la durata media di questo tipo di podcast, che bloccano a lungo gli utenti su un solo contenuto, con buona pace degli introiti pubblicitari.

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Ma il rumore bianco funziona davvero?

A questo punto occorre tornare a quanto accennato all’inizio. Il rumore bianco funziona o no? Il concetto (semplificando molto) è che un tappeto sonoro monotono possa rilassare chi lo ascolta. Anche perché, con il fatto di essere somma di tutte le frequenze percepibili, funge da “tappezzeria sonora”, assorbendo ogni altro eventuale rumore ambientale improvviso.

La risposta è: sì, forse, mah. È intuitivo che l’assenza di rumori inaspettati e sgradevoli, così come l’assenza di stimoli visivi, dia una mano a chi voglia concentrarsi o addormentarsi. Ma è altrettanto vero che c’è chi dorme beatamente con le finestre aperte nel quartiere più caotico di una metropoli e chi fatica a prendere sonno anche solo se avverte un flebile rumore lontano.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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