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Proteste in Iran dopo l’uccisione di Mahsa Amini. E il governo spegne Internet

Bloccati WhatsApp, Instagram e non solo

In tutto il mondo è giunto l’eco di quanto accaduto in Iran nella giornata del 16 settembre, quando Mahsa Amini è stata uccisa dalla polizia perché non indossava correttamente lo hijab.

Alle molteplici proteste seguite alla morte della ventiduenne, il governo ha risposto con la repressione e non solo: l’Iran sta spegnendo Internet. Ed è un modo nemmeno troppo indiretto di soffocare la protesta.

Ricostruiamo quanto è accaduto, partendo dall’uccisione di Mahsa Amini per arrivare infine al blocco di Internet in Iran.

L’uccisione di Mahsa Amini

Venerdì 16 settembre, come dicevamo, Mahsa Amini è stata uccisa dalla polizia iraniana per non aver indossato correttamente lo hijab.

La ragazza era stata arrestata a Teheran martedì 13, rea di non aver rispettato la legge sull’obbligo del velo, che vige dal 1981. Legge per cui lo hijab deve coprire capo e collo (lasciando libero il volto). Pare che la colpa di Mahsa Amini sia stata quella di permettere a un ciuffod i capelli di uscire dal velo.

Senza scendere nei dettagli, la giovane sarebbe stata selvaggiamente picchiata, sino alla morte avvenuta per emorragia cerebrale. Nonostante i funzionari governativi abbiano parlato di un infarto, che decisamente mal si concilia con i lividi sul corpo della giovane.

Il padre della ventiduenne ha dichiarato che non gli è stato permesso di vedere tutto il corpo della figlia deceduta, ma che ha comunque potuto vedere chiari segni di un pestaggio su piedi e gambe.

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Le proteste

La notizia dell’uccisione di Mahsa Amini ha immediatamente scatenato le proteste.

Sono state soprattutto le donne a eleggere Mahsa a emblema di vittima del regime iraniano, tra le altre cose retrogrado e patriarcale.

E le azioni simbolo della protesta sono state eclatanti: una grande quantità di donne iraniane si sono tagliate i capelli corti, hanno dato alle fiamme il loro hijab e hanno postato sui social questi gesti. Che sono stati compiuti nelle proprie case ma anche in pubblico.

Parallelamente a questa protesta simbolica, infatti, c’è stata una forte mobilitazione di piazza, con violente proteste scoppiate in almeno 50 città, e spesso guidate appunto da donne.

I disordini si sono concentrati soprattutto nel Kurdistan, regione di origine di Mahsa Amini.

A questa doppia forma di insurrezione, nelle piazze e attraverso le piattaforme social, il governo ha reagito con una doppia repressione. Vediamo in che modo.

Almeno 31 vittime tra i manifestanti

Purtroppo, le accese manifestazioni contro l’uccisione di Mahsa Amini si stanno reprimendo nel sangue. Attualmente si conterebbero 31 morti tra i civili, anche se il governo minimizza e dà numeri di molto inferiori.

L’informazione è stata fornita dall’ong Iran Human Rights, con sede a Oslo. Il cui direttore, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha dichiarato: “Il popolo iraniano è sceso in piazza per lottare per i propri diritti fondamentali e la propria dignità umana e il governo sta rispondendo a queste manifestazioni pacifiche con le pallottole.”

Anche il presidente americano Joe Biden ha preso posizione sulla protesta, dicendo che “gli Stati Uniti si schierano al fianco delle coraggiose donne iraniane.”

L’Iran sta spegnendo Internet

Lo abbiamo appreso con la guerra in Ucraina e il comportamento di Mosca: le proteste si reprimono anche soffocando i social. Che ormai sono un luogo virtuale in cui si organizzano sia la resistenza in caso di assedio nemico, sia azioni di protesta da parte della popolazione dissidente nei confronti del governo invasore.

E così sta accadendo anche dopo le proteste per la morte di Mahsa Amini: il governo dell’Iran sta spegnendo Internet.

Sono fuori uso WhatsApp e Instagram, e non per caso. Il primo è il social di messaggistica rapida perfetto per organizzare anche all’ultimo momento incontri e manifestazioni. E Instagram, assieme a TikTok, è l’app visiva per antonomasia, quella cioè che più fedelmente (e in presa quasi diretta) potrebbe testimoniare le violenze del governo iraniano.

La cui azione di censura non si limita ai social di Meta: sono state tagliate o rallentate anche le linee Internet. Repressione particolarmente efficace vista la giovane età media dei manifestanti.

Le limitazioni alla rete, peraltro, hanno una doppia ricaduta. Impediscono ai manifestanti di organizzarsi e rendere pubblico ciò che accade, ma nel contempo ostacolano il lavoro dei giornalisti di tutto il mondo, che vorrebbero dare notizie le più circostanziate possibile.

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“Progetto hijab e castità”

E poco ci si deve fidare delle parole del presidente iraniano Ebrahim Raisi, che avrebbe promesso l’apertura di una indagine per “la tragica morte di Mahsa, che era come le nostre figlie”.

Basti pensare che il Ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio (il cui nome lo identifica già alla perfezione) ha recentemente pubblicato un denso documento dal titolo Progetto hijab e castità. Che tra le altre cose prevede l’uso di telecamere per assicurare il corretto uso del velo da parte delle donne, e per multare chi trasgredisce.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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