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Trent’anni di storia dell’auto in 10 flop | Auto for Dummies

Tra linee fin troppo estrose e soluzioni tecniche fallimentari, ecco 10 tra i più grandi fallimenti degli ultimi 30 anni nel mondo dell'automobile

Spesso qui sulle pagine di Techprincess vi parliamo di automobili dal grande successo, capaci di vendere migliaia, e a volte milioni di esemplari, e di far fruttare alla Casa produttrice. Come sappiamo benissimo, però, il successo non può arrivare senza passi falsi, nella vita come nell’industria dell’automobile. Per questo oggi ad Auto for Dummies vi parliamo di alcune tra le più memorabili auto flop degli ultimi 30 anni, automobili che per soluzioni tecniche troppo all’avanguardia, linee fin troppo audaci o semplice sfortuna le Case che le hanno create preferirebbero lasciare chiuse in un cassetto della memoria. Pronti a conoscere 10 tra i più grandi flop del mondo dell’auto degli ultimi tre decenni? Attenzione: potreste rimanere molto sorpresi.

Cadillac Allanté, il flop dell’auto dalla più grande catena di montaggio al mondo

Anni di produzione: 1987-1993
Esemplari prodotti: 21.430

Partiamo subito col botto parlando di una delle auto flop più celebri. Fimenticabile su strada, venduta in pochissimi esemplari e con un assemblaggio a dir poco folle, figlio dei frizzantissimi anni ’80: Cadillac Allanté. La Allanté è una vettura americana con fortissimi geni italiani, nata per spezzare il dominio della Mercedes-Benz SL tra le cabrio a due posti di lusso ma che ripagò General Motors, proprietaria del marchio Cadillac, solo con un enorme flop.

L’anno è il 1985. Il mondo si muove con i Concorde, il telefono cellulare comincia a diventare popolare e in America l’auto più gettonata tra i ceti più benestanti è la Mercedes-Benz SL. La due posti tedesca, dotata di un’estetica senza tempo, di qualità e confort da berlina di lusso ma anche di prestazioni ed esperienza di guida da sportiva, era la prima scelta per chi voleva velocità, confort e qualità.

General Motors così decise che il dominio tedesco doveva finire. Per questo, per combattere la gettonatissima rivale teutonica scelse di realizzare una roadster a due posti sul vetusto pianale delle sue berline, Buick Riviera e Cadillac Eldorado in primis. La trazione anteriore, il motore V8 da 4.1 litri e soli 170 CV e il telaio portato avanti fin dal 1965 con poche modifiche non ponevano la Allanté in un’ottima posizione di partenza. A peggiorare ulteriormente le cose ci fu la incredibilmente complessa procedura di montaggio dell’auto, che a posteriori è quasi impossibile comprendere.

In poche parole, Cadillac commissionò il design della vettura, la sua prima due posti dal 1955, a Pininfarina. Il designer torinese si impegnava anche ad assemblare le sole carrozzerie. Per soddisfare la domanda americana, che si supponeva ingente, Pininfarina costruì una fabbrica apposita, a San Giorgio Canavese, vicino a Torino. Qui, venivano costruite le carrozzerie della Allanté, assemblate completamente e dotate di interni e impianto elettrico. Da qui, la follia: le carrozzerie assemblate venivano portate da San Giorgio Canavese all’Aeroporto di Torino, dove ad attenderle c’era un Boeing 747 appositamente allestito per il trasporto di 56 carrozzerie alla volta.

L’aereo poi partiva alla volta di Detroit, dove a tre miglia dal Detroit City Airport si trovava la fabbrica dove le carrozzerie italiane venivano montate alla meccanica già assemblata. Questo processo, costosissimo e folle anche solo da immaginare, permise alla Allanté di “vantare” il titolo di catena di montaggio più lunga al mondo, con i suoi 7.403 km. Inutile dire che l’auto, per compensare questa pazzia, era decisamente più costosa delle altre Cadillac e persino della rivale Mercedes SL. Inoltre, nonostante fosse l’ammiraglia di General Motors, pagava dazio in prestazioni, qualità e confort. Dopo 6 anni e poco più di 21.000 esemplari prodotti, nel 1993 la Allanté fu ritirata dal mercato, con buona pace di chi immaginò l’asse Torino-Detroit.

FIAT Duna, l’auto flop all’italiana

Anni di produzione: 1985-1991
Esemplari prodotti: 91.000

“La FIAT Duna è l’antifurto di sé stessa.”, “Come si chiama una Duna con il tetto apribile? Cassonetto.” Queste sono solo due delle battute che potreste aver sentito su una delle automobili più denigrate degli ultimi decenni, la FIAT Duna. La versione a tre volumi dell’amata FIAT Uno, nata per gli emergenti mercati del Sud America, era pratica e robusta, ma di certo non bella. Anzi. Le linee della Uno di Giorgetto Giugiaro si scontravano con un baule che sembrava essere stato aggiungo in un secondo, anzi, in un terzo momento.

Giunta in Italia nel 1987, la Duna colpì tutti, ma per il motivo sbagliato. Le sue linee a dir poco sgraziate e una pubblicità in cui veniva persino tamponata ne limitarono le vendite: seppur economa e pratica per le dimensioni, gli italiani (e gli europei di seguito) le preferivano altre FIAT più aggraziate, come la stessa Uno, la Regata o la Tipo, uscita nel 1988. In più, la Duna era prodotta in Brasile e successivamente esportata in Europa: per questo, la qualità era a tratti non all’altezza degli standard europei. Se la Duna berlina fu un vero buco nell’acqua di vendite, la versione station wagon, denominata Weekend, ebbe molto più successo. Le doti di praticità e robustezza della Duna incontravano una linea sempre poco aggraziata, ma decisamente più digeribile.

Gran parte delle 91.000 Duna vendute in Europa furono infatti delle Weekend, tantissime delle quali nella indistruttibile versione DS a gasolio. Se la Weekend convinse il pubblico (in misura sempre minore, va ricordato, rispetto alle coeve Regata e Tipo), la berlina non decollò mai. FIAT, per convincere i clienti ad acquistarla, per un periodo incluse nel prezzo (scontato) anche un televisore nuovo e una lavastoviglie. L’operazione Ok, il prezzo è giusto però non bastò, e portò FIAT a chiudere le importazioni di Duna nel 1991. Sei anni di difficile carriera, che le hanno permesso di fregiarsi dell'”ambitissimo” riconoscimento popolare di auto più brutta di sempre. Povera Duna.

FIAT Stilo, l’italiana costruita alla teutonica che rischiò di far chiudere FIAT

Anni di produzione: 2001-2010
Esemplari prodotti: 789.000

Rimaniamo in Italia per parlare dell’automobile più venduta della nostra lista, la FIAT Stilo. Per molti, la Stilo è ancora oggi un’automobile discreta, robusta e affidabile, che non si merita l’appellativo di “auto flop” che in molti le danno. In realtà, però, la compatta che doveva battere la Golf fu un vero e proprio bagno di sangue per la Casa torinese, che con la Stilo perse oltre 2 miliardi di euro. Il vero problema della Stilo fu il desiderio di FIAT di battere le rivali tedesche sul loro stesso campo: la tecnologia. La premiata ditta Bravo/Brava, lanciate nel 1995, ebbero un successo solo discreto, e non riuscirono a bissare il successo della Tipo del 1988.

Per questo, FIAT pensionò anzitempo la Bravo dopo soli 5 anni, per lanciare la nuova vettura che puntava a battere la Golf sul piano della tecnologia. e della qualità. La Stilo era infatti disponibile in tre carrozzerie (3 Porte, 5 Porte e familiare, la Multiwagon), e portò al debutto tecnologie all’avanguardia: Cruise Control con radar, sensori di parcheggio, navigatore con schermo a colori, tetto apribile a veneziana, servosterzo a controllo elettronico e quadro strumenti con schermo digitale. In più, la versione Abarth, dotata di un 2.4 5 cilindri da 170 CV, era disponibile solo con il cambio manuale automatizzato Selespeed. Insieme a queste tecnologie, la Stilo offriva tanto spazio e una plancia rivestita di plastica morbida, un unicum all’inizio degli anni ’00 e trovata solo sulla lussuosa Audi A3.

Sfortunatamente, però, queste tecnologie ebbero diversi problemi. Da un lato, tutte queste soluzioni aumentarono il peso, che peggiorarono guidabilità e consumi. In più, l’affidabilità fu davvero problematica, tanto da costringere FIAT ad abbandonare gran parte di queste tecnologie in occasione del restyling del 2005. Dal 2005 al 2010, la Stilo venne venduta in allestimenti molto più semplici, senza schermi, cruise control e tecnologie all’avanguardia. Infine, lo stile troppo teutonico e freddo convinse poco fuori dall’Italia, e la guidabilità era peggiore delle vecchie Bravo a causa delle sospensioni posteriori a ponte torcente, un passo indietro rispetto a quelle indipendenti di Bravo.

FIAT aveva programmato di vendere 200.000 Stilo all’anno, per rientrare degli altissimi costi di sviluppo. Ne vennero prodotte solo 790.000 in 9 anni. A causa degli enormi costi di progettazione, poi, la Stilo è ancora oggi l’auto più costosa mai sviluppata da FIAT. Per questo, la Casa torinese perse per ogni Stilo venduta 2.410 euro: in totale, la Stilo costò a FIAT 2,1 miliardi di euro. A causa dell’enorme flop economico causato dalla Stilo, FIAT nel 2004 rischiò la bancarotta, salvata dallo Stato. Per questo, la Stilo nonostante sia stata prodotta in quasi 1 milione di unità è ricordata come il più grande flop della storia di FIAT.

Jaguar XJ220, l’auto flop che non ti aspetti: la più veloce del mondo non voluta da nessuno

Anni di produzione: 1992-1994
Esemplari prodotti: 282

Dopo tre automobili “normali”, ci si aspetterebbe di trovare un’altra auto particolare ma con poco seguito, come del resto tutte quelle successive. Non è infatti comune veder fallire le amatissime supercar, soprattutto oggi dove vediamo ogni giorno supercar e hypercar vendute al doppio del loro prezzo originale. Eppure non è stato sempre così, come sa bene Jaguar. Siamo alla fine degli anni ’80. Jaguar, dopo anni difficili, è tornata a vincere a Le Mans dopo le schiaccianti vittorie degli anni ’50. I prototipi che vinsero a Le Mans, però, nonostante portassero il Giaguaro sulla carrozzeria, erano in realtà vetture realizzate e concepite dalla TWR, la Tom Walkinshaw Racing, mitico costruttore inglese specializzato in auto da corsa.

Jaguar, però, vedeva queste vetture seppur vincenti troppo lontane dalla sua produzione di serie. Alcuni lavoratori Jaguar, nel loro tempo libero, decisero così di sviluppare una vettura da corsa costruita in casa, come le C-Type e D-Type degli anni ’50. Nacque così nel 1988 il prototipo della Jaguar XJ220. L’auto era dotata di una linea pazzesca, di un motore V12 centrale e di un sistema di trazione integrale simile a quello della coeva Porsche 959. Dopo la sua presentazione, Jaguar raccolse l’amore del pubblico, con oltre 1.200 persone che misero una caparra da 50.000 sterline sul progetto.

L’auto, però, fu complicatissima da realizzare. La trazione integrale, mai utilizzata da Jaguar, venne abbandonata presto, e nel 1990 ci fu il crollo del mercato delle Supercar. In più, America ed Europa introdussero delle nuove norme anti-inquinamento, che penalizzavano enormemente i motori plurifrazionati e di grande cilindrata. Già orfana della trazione integrale, la XJ220 si vide togliere anche il V12 aspirato. Al suo posto, arrivò un altro motore inglese: il 3.0 V6 utilizzato dalla MG Metro 6R4 Gruppo B, che nel 1987 si ritirò dal cancellato Campionato Rally Gruppo B. Il V6, dotato di un turbo e modificato da Jaguar e TWR, trovò posto sotto il cofano della XJ220, che così debuttò nel 1992.

Dotata di interni lussuosi, di un motore turbo da 550 CV e di una carrozzeria inconfondibile, la XJ220 era bellissima e velocissima, ma deluse comunque le attese. La supercar V12 con trazione integrale si trasformò in una Gran Turismo con “solo” un V6 3.0 sotto il cofano. In più, il prezzo era folle: 450.000 sterline, pari a quasi 990.000 euro attuali, al netto dell’inflazione. Tantissimi dei 1.200 clienti che versarono la caparra rivollero i loro soldi indietro, e Jaguar riuscì a vendere solo 282 delle 350 XJ220 previste. A nulla bastarono delle prestazioni da capogiro, una linea incredibile e lo scettro di auto più veloce del mondo con i suoi 341,7 km/h. Il pubblico, negli anni ’90, la snobbò, preferendole le rivali di Ferrari, Lamborghini o Porsche. Solo oggi la XJ220 si è presa la sua rivincita, risultando una delle auto più desiderate del Globo.

Nissan Murano CrossCabriolet: a volte i crossover non portano nulla di buono

Anni di produzione: 2010-2014
Esemplari prodotti: ≃ 6.000

Non sempre i crossover escono col buco. Sia nelle serie TV, nei film, nel mondo dei comics che in quello dell’auto, l’unione tra due titoli famosi non è sempre una buona idea. In questo caso, il crossover da non fare è quello tra un SUV di grandi dimensioni e una cabriolet. Di SUV cabrio ormai ne abbiamo visti alcuni, come Land Rover Range Rover Evoque Cabriolet o Volkswagen T-Roc Cabrio, due auto che con i loro limiti hanno convinto il pubblico. Un modello che, invece, non convinse proprio nessuno fu Nissan Murano CrossCabriolet, un’auto flop che sfortunatamente non è mai arrivata ufficialmente in Europa.

Il Murano CrossCabriolet sembra il frutto di un amore fugace tra il SUV di grandi dimensioni Murano, pensato per gli Stati Uniti, e la piccola Nissan Micra C+C, la Coupé Cabriolet che seguì il trend delle piccole con tetto retrattile dei primi anni ’00. Il risultato? Un SUV di quasi 5 metri con due porte e una linea che sia da chiusa, sia da aperta rendevano quest’auto incredibilmente sgraziata e disturbante. Rispetto alla Micra C+C, la Murano CrossCabriolet opta per un tetto in tela, l’unico modo per rendere effettivamente realizzabile un SUV cabriolet per via dell’ingombro del tetto. A causa dei meccanismi del tetto, i posti posteriori erano davvero striminziti, e lo spazio per la testa è davvero poco.

Definito “il primo crossover cabrio a trazione integrale”, Murano CrossCabriolet sfiorava le due tonnellate, e con il tetto ripiegato il bagagliaio ospita poco meno di 250 litri. L’unica componente che fa battere il cuore ad un appassionato è il motore: sotto il cofano c’è infatti il 3.5 V6 VQ35 derivato dalla 350Z, che in questa versione eroga 265 CV. Venduto tra il 2010 e il 2014, Nissan Murano CrossCabriolet è stato un vero flop di vendite. Sebbene Nissan non abbia mai dichiarato le vendite del modello cabrio, l’ente IHHS degli Stati Uniti ritiene che siano stati circa 6.000 gli esemplari venduti.

Peugeot 1007, il primo esempio di troppa fantasia: l’auto flop “magica”

Anni di produzione: 2004-2010
Esemplari prodotti: ≃ 120.000

Ma quante sportellate si rifilano negli stretti parcheggi cittadini?”. Dev’essere questa la domanda che ha fatto pensare agli ingegneri Peugeot di realizzare un’automobile cittadina dotata di due sole porte scorrevoli. Siamo nel 2004, e, sembra pazzesco pensarlo, i SUV erano ancora roba per pochi fortunati. Il mercato dell’auto generalista era in preda ad un’altra moda, quella dei monovolume. Tetto alto ma altezza da terra e guida da auto normale, i monovolume nei primi anni ’00 erano ovunque. Tantissime auto tradizionali si “monovolumizzarono” in questo periodo, tra cui la nostra amatissima FIAT Panda. Al fianco delle normali auto “rasoterra”, però, nacquero anche le equivalenti monovolume.

In Casa FIAT, ad esempio, c’erano la FIAT Punto e la Idea, la versione monovolume della Punto, Renault aveva la Clio e la Modus, Ford la Focus e la C-Max, e così via. Peugeot, d’altro canto, non aveva una vettura simile in gamma, con la sola 206 a fare da compatta. La Casa del Leone, però, non voleva limitarsi a fare una semplice versione a tetto alto della 206: voleva innovare, lanciare un’auto fuori dagli schermi. Perciò nacque la 1007: già il nome, con il primo utilizzo del doppio zero, fa capire come questa non sia una Peugeot come tutte le altre. Peugeot infatti volle arrivare alla praticità con soluzioni mai viste prima. Per prima cosa, l’auto al posteriore era dotata di due sedili singoli scorrevoli e rimovibili.

All’interno, poi, diverse parti della plancia erano personalizzabili e rimovibili, per modificare a seconda del proprio umore gli interni. La meccanica, derivata da quella di 206 e delle cugine Citroen C2 e C3, aveva due motori 1.4 benzina e diesel e due 1.6, per enfatizzare le caratteristiche da auto da città capace anche di muoversi fuori dall’ambito urbano. La grande innovazione però erano le portiere. Al contrario delle rivali, infatti, Peugeot 1007 ha solo due porte, e sono entrambe scorrevoli. E c’é di più: non solo sono scorrevoli, ma sono anche elettriche, apribili persino dal telecomando. La 1007 era quindi un’auto che tramite soluzioni folli arrivava ad offrire praticità, comodità d’utilizzo in città e spazio.

La linea, merito di Pininfarina, e la paura di problemi tecnici con le portiere fermarono le vendite della 1007. In più, i motori 1.6 erano visti come troppo grossi per un’auto da città, e il prezzo era decisamente più alto delle rivali tradizionali. Così, nel 2010 Peugeot cancellò la 1007 senza una sostituta dopo circa 120.000 unità. Come per FIAT Stilo, la 1007 fu per Peugeot un vero bagno di sangue: la piccola monovolume costò a Peugeot 2 miliardi di euro, per una perdita di 15.000 euro per auto venduta.

Pontiac Aztek, l’auto flop divenuta famosa grazie a Breaking Bad

Anni di produzione: 2000-2005
Esemplari prodotti: 120.000 esemplari

Chi tra voi ha visto la pazzesca serie TV Breaking Bad sicuramente riconoscerà la settima protagonista di oggi, la Pontiac Aztek. Questa è infatti l’automobile che fin dalla prima stagione accompagna il professore di chimica Walter White nella sua trasformazione in produttore di metanfetamina, e la scelta non è affatto casuale. In America, infatti, la Pontiac Aztek è stata considerata una delle auto più sfigate in circolazione, a causa del suo scarsissimo successo e delle sue soluzioni a dir poco fuori dal comune.

Siamo nel 2000, e i crossover cominciano ad imperversare in America. Pontiac, in crisi di vendite da diversi anni, vuole dare una scossa al mercato formato sempre dalle solite auto tutte uguali e noiose. La nuova Aztek, infatti, è basata sul telaio dei minivan di General Motors. Questo non le regala una grande esperienza di guida, ma ha un beneficio: tantissimo spazio interno. La Aztek è infatti incredibilmente spaziosa, e nonostante il suo 3.4 V6 sotto il cofano sia letargico, a prendere tutte le attenzioni ci pensa il bagagliaio enorme con i sedili posteriori rimovibili e un vano posteriore molto sfruttato. Pontiac offre infatti in opzione un impianto stereo Pioneer dotato di 10 altoparlanti e di comandi per l’audio nel bagagliaio.

Pontiac infatti vuole che i clienti di Aztek sfruttino il bagagliaio anche per divertirsi. Il portellone, diviso in due parti, ha la ribaltina capace di reggere fino a 180 kg, e dotata di portabicchieri e di due sedili. In più, è possibile avere una tenda. Si, avete capito bene: una tenda, da agganciare al portellone e accoppiata ad un materasso ad aria gonfiabile. Infine, si può avere anche un frigo che può essere agganciato all’interno o addirittura portato in giro, in spiaggia o in campeggio. Un’auto coraggiosa, divertente e originale, che ebbe due grandi problemi.

Il primo fu il prezzo: Aztek costava decisamente più dei rivali, perdendo l’interesse di chi poteva amare un veicolo così poliedrico, ovvero i giovani. Il vero freno alla Aztek fu però la linea, definita da tantissimi come “inguardabile” e addirittura “offensiva”. Pontiac totalizzò circa 120.000 esemplari di Aztek in 5 anni di produzione, per un’auto che oggi, superato lo shock per il suo “sguardo”, è sempre più ricercata da chi vuole un’auto divertente e completa e… non odia il suo look.

Renault Avantime, l’auto flop più amata dagli appassionati

Anni di produzione: 2001-2003
Esemplari venduti: 8.557

Ci sono automobili che vivono una sola vita, fatta di successo o di fallimento. Ci sono, poi, automobili che da nuove non vengono capite, ma che poi anni dopo hanno una seconda giovinezza, dopo che il tempo ha addolcito le loro particolarità. È il caso della Renault Avantime, che già del nome faceva capire di essere un’auto che anticipò i tempi. Siamo sempre nei primi anni ’00, quelli dell’esplosione delle monovolume. Renault, che nel 1996 fu tra le pioniere di questo segmento lanciando la vendutissima Mégane-Scenic, voleva qualcosa che anticipasse i tempi, capace di rendere le pratiche monovolume più… emozionanti.

L’idea arrivò da Matra, colei che inventò l’Espace e che per Renault lo produsse fino all’inizio degli anni ’00. “Perché non fare una monovolume-coupè?“, dev’essere questa la domanda che si sono fatti in Matra. Sulla base della Espace, il monovolume di grandi dimensioni di casa, Matra disegnò una carrozzeria estrema, con accenni stilistici unici. Qualche esempio? Il montante posteriore tormentato e verniciato di tre colori differenti, il lunotto verticale e il terzo volume accennato poco sotto, dettaglio ripreso poi dalle successive Mégane seconda serie e Scénic.

La particolarità di Avantime stava poi nelle sole due porte, enormi, che la rendono il primo (e unico, per ora e penso per sempre) monovolume a tre porte. Rifinita con cura e dotata di motori potenti da 150 a ben 207 CV scegliendo il 3.0 V6, la Avantime era l’ammiraglia originale e per chi vuole distinguersi. Per chi volesse un’auto più “tradizionale”, in Casa Renault c’era l’altrettanto strana Vel Satis, una berlina di rappresentanza con tetto alto e andamento a metà tra una wagon e una MPV. Anche la Vel Satis meriterebbe un capitolo a parte. Come per la cugina berlina, però, sfortunatamente i clienti per Avantime semplicemente non c’erano.

Seduta a livello di dotazioni, rango e prezzo sopra a tutte le altre Renault, la Avantime sfidava le solite berline tedesche con qualcosa di completamente diverso, che però non venne capito. Le vendite furono molto limitate, con 8.557 esemplari prodotti in un anno e mezzo tra il 2001 e il 2003: un flop totale. Renault, dopo la Avantime, chiuse i rapporti con Matra, che non produsse più un’auto dopo la discussa monovolume coupé. Dopo anni di oblio e di scherno, però, oggi la Avantime sta vivendo una seconda giovinezza. Comoda, originale e dotata di soluzioni ancora oggi all’avanguardia come il tetto completamente panoramico o le portiere a doppia cerniera, la stranissima francese oggi è oggetto del desiderio per chi vuole distinguersi, e guidare un pezzo di storia.

Saab 9-5, l’ultimo ballo della Casa di Trollhattan

Anni di produzione: 2009-2011
Esemplari venduti: ≃ 17.000

La nona auto flop di oggi è una vettura che aveva tutto per non essere parte di questa lista, ma che sfortunatamente è finita a farne parte a causa della fine della sua Casa: Saab 9-5. A 10 anni dalla chiusura del mitico costruttore svedese, ricordiamo infatti l’ultima automobile prodotta da Saab, la seconda serie della 9-5. Lanciata nel 1998, la berlina di medio-grandi dimensioni 9-5 è stata una delle auto di maggior successo della Casa svedese, contrapposta alla connazionale Volvo V70 e alle rivali tedesche BMW Serie 5, Audi A6 e Mercedes Classe E. La 9-5, a tutte queste, contrapponeva una linea elegante ma personale, un interno unico con rimandi al mondo dei caccia, prima attività della Saab, e dei motori turbo molto vigorosi.

Saab era infatti famosa come una Casa solida, sicura ma molto particolare. Prima a introdurre il motore turbo in un’auto di serie nel 1974 sulla 99 Turbo, Saab si guadagnò una reputazione di costruttore originale e fuori dagli schemi, ma affidabile e sensibile. Per ottenere questi risultati, però, Saab spendeva enormi quantità di denaro sulle proprie auto. Per la Casa di Trollhattan, infatti, le auto dovevano essere sicurissime, veloci, potenti e soprattutto personali. Fare auto in questo modo è bello, ma costosissimo. Per questo, Saab cercò un acquirente e fu acquistata da General Motors nel 1990 e per 20 anni discusse con Saab perché, alla richiesta di produrre automobili su base Opel con poche personalizzazioni, i ragazzi di Saab rivoluzionavano i progetti, spendendo così milioni di dollari. Nel 2009, Saab sembrava aver capito: la 9-5 di seconda generazione era infatti un’auto personale e indiscutibilmente Saab, ma basata sulla Opel Insignia.

Sul telaio della Insignia, condividendo i suoi motori 1.8, 2.0 e 2.8 V6 turbo benzina, parte degli interni e alcune linee, la 9-5 sfoggiava tutti i tratti distintivi di una Saab. Gli interni con le luci verdi, l’impostazione da cacciabombardiere e il Night Panel, che spegne tutti i quadranti eccetto la velocità, il montante posteriore a bastone da hockey e le prestazioni da sportiva: tutti i tratti distintivi di una Saab c’erano. Sfortunatamente, però, Saab spese nuovamente troppi soldi per la nuova 9-5, e General Motors decise così a pochissime settimane dal lancio della 9-5 di cedere la società. Saab passò quindi di mano, e venne acquistata dalla piccola Casa olandese Spyker, e dopo qualche settimana di attesa la catena di montaggio di 9-5 ricominciò a funzionare.

Era in cantiere anche una bellissima versione Wagon, di cui furono prodotti anche pochi esemplari, quando nel 2011 anche Spyker decise di abbandonare il progetto, lasciando naufragare tristemente Saab al suo destino. Ora, il brand è in mano alla Casa cinese NEVS, che però non acquistò i brevetti necessari per produrre la 9-5 da GM. Per questo, nel 2011 si fermò la produzione di Saab 9-5, che in poco meno di due anni ottenne circa 17.000 clienti tra Europa (circa 14.000 esemplari venduti) e Stati Uniti (solo 3.300 unità consegnate). Con la giusta convinzione e i giusti mezzi, sicuramente la Saab 9-5 sarebbe potuta essere un’auto davvero apprezzata. Sfortunatamente, però, rimase solo un’auto incompleta, diventata flop senza meritarlo.

Tata Nano, l’auto che doveva motorizzare l’India ma fallì miseramente

Anni di produzione: 2008-2018
Esemplari venduti: 258.500

Chiudiamo il nostro decalogo delle auto flop più clamorose degli ultimi 30 anni con un’auto che avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo dell’automobile, ma che in realtà non convinse mai fino in fondo: la Tata Nano. Il suo obiettivo era semplicissimo: motorizzare l’India, e consentire ai milioni di indiani che ancora usavano una motocicletta come mezzo di trasporto per la famiglia di passare all’automobile. Per questo, il Presidente della Casa indiana Tata Ratan Tata, spinto dal successo del piccolo pick-up Tata Ace, decise di creare un’automobile il più semplice possibile, una motocicletta su ruote. La sua nuova auto, infine, doveva essere l’auto più economica del mondo, a 100.000 rupie (1.170 euro).

Per questo, la vettura fece utilizzo di lamiere sottilissime, e utilizzava soluzioni di taglio dei costi estreme. Il telaio, ad esempio, è a longheroni, con la carrozzeria imbullonata ad esso. In più, il motore è posteriore, mentre il serbatoio posto all’anteriore e privo di coperchio esterno per il rifornimento. Il servosterzo e i vetri elettrici non si potevano avere, l’auto è dotata di 4 posti e la parte posteriore è fissa. Per accedere al vano bagagli è quindi necessario passare dalle porte posteriori e abbattere i sedili. Il motore è un bicilindrico da 624 cm3, capace di 38 CV e 51 Nm di coppia. Il cambio è a quattro marce con retromarcia, e non è possibile avere neanche a richiesta il climatizzatore.

Le prestazioni erano davvero letargiche, con uno 0-100 km/h coperto in 30 secondi e una velocità massima di 105 km/h. Il prezzo, poi, a causa del costo maggiore delle materie prime e di vari problemi con l’edificazione di una fabbrica apposita, salì presto a 150.000 rupie (1.800 euro), avvicinandosi a quello di una vettura normale usata. Le prestazioni letargiche, la qualità di basso livello e l’eccessiva essenzialità della vettura, però, non convinsero né chi era alla ricerca di un’auto, che scelse vetture decisamente più complete, ma soprattutto neanche il target originale dell’auto, i motociclisti. Questi vedevano nella Nano un’auto lenta, poco pratica e costosa, offerta a circa il triplo di una nuova moto 125.

Per queste motivazioni, è abbastanza semplice immaginarne il flop. Tata infatti immaginava di produrre ben 250.000 Nano all’anno: in realtà, sono state prodotte 258.000 Nano in ben 10 anni. Nulla potè il debutto della rinnovata Nano GenX. Nonostante nuove linee, radio Bluetooth, clima e servosterzo, ed un prezzo ora fissato a 215.000 rupie, la GenX non aiutò a risollevare la Nano, che anzi crollò. Negli ultimi tre anni di produzione, infatti, Tata non è riuscita a venderne più di 1.500. C’era anche il piano di portare la Nano in Europa con un motore più potente e allestimenti più completi, ma il progetto non andò mai in porto. Neanche le versioni a metano, elettriche e ad aria compressa conquistarono gli indiani, che non si innamorarono mai della Nano.

Qual è l’auto flop che secondo voi merita una seconda chance?

E con la piccola Tata Nano, si conclude il nostro viaggio tra le auto flop degli ultimi 30 anni. Spesso, le Case automobilistiche provano una ricetta originale, tentano la fortuna con modelli audaci o, semplicemente, sbagliano. Oggi abbiamo visto dieci automobili che, per un motivo o per l’altro, hanno ottenuto dei risultati decisamente sotto le attese della Casa, risultando dei veri e propri flop. Al fianco di vetture oggettivamente poco fortunate, però, qui sopra ci sono auto che non meritano il trattamento che ricevono. Alcune di queste auto sono infatti robuste, complete o semplicemente non sono state capite quando erano in produzione.

Secondo voi quale di queste auto meriterebbe una seconda chance? Avete posseduto una di queste auto? Come vi siete trovati? Fateci sapere tutto! Per tutte queste domande, ci sono i commenti: è il vostro momento. Noi mettiamo la parola fine anche a questa puntata di Auto for Dummies. L’appuntamento è per venerdì prossimo per una nuova puntata della rubrica di techprincess che racconta i segreti e le curiosità del mondo dell’auto, e non solo. Ci vediamo la settimana prossima! Ciaoo!

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Giulio Verdiraimo

Ho 22 anni, studio Ingegneria e sono malato di auto. Di ogni tipo, forma, dimensione. Basta che abbia quattro ruote e riesce ad emozionarmi, meglio se analogiche! Al contempo, amo molto la tecnologia, la musica rock e i viaggi, soprattutto culinari!

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