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Mahmood: com’è il documentario di Giorgio Testi

“Ja ti la crediasa crasa”. Sono le parole che Mahmood – in sardo – ha rivolto a sua mamma subito dopo la vittoria di Sanremo. “Non te lo saresti aspettato”.

Forse quelle parole Mahmood le ripete anche a se stesso quando realizza, dopo anni di fatica, dedizione, duro lavoro e innumerevoli porte in faccia, di essere due volte vincitore di Sanremo – nel 2019 con “Soldi” e nel 2022 con “Brividi” in coppia con Blanco, di aver realizzato un tour europeo sold out, e ancora due fortunate partecipazioni all’Eurovision Song Contest, miliardi di visualizzazioni e stream dei suoi brani e video, collaborazioni, anche in veste di autore, con gli artisti più seguiti e rispettati della scena musicale contemporanea, da Blanco a Carmen Consoli, da Marco Mengoni a Elodie ed Elisa; da Fabri Fibra a Guè Pequeno, Massimo Pericolo, Sfera Ebbasta. Tutto questo è Mahmood, e forse non te lo saresti aspettato.

Mahmood: la recensione del documentario di Giorgio Testi

Mahmood recensione

Mahmood è il docu-film diretto da Giorgio Testi che ha debuttato alla Festa del Cinema di Roma 2022 in Alice nella città, e che approderà in sala dal 17 al 19 ottobre con Nexo e dal 15 novembre su Prime video. Il documentario segue Mahmood lungo tutto il suo tour europeo, ricostruendo la sua storia attraverso i racconti degli amici, della famiglia, colleghi, da Carmen Consoli a Blanco e Dardust, e ci porta attraverso un percorso interiore che ha la musica come colonna portante e dove l’amore e l’assenza trovano il loro modo di coesistere. 

Dal Bataclan di Parigi allo O2 Shepherd’s Bush Empire di Londra, questo docu-film si spinge oltre la pura e semplice celebrazione musicale per costruire una narrazione intima, fatta di momenti solitari, di bagni di folla durante le performance live e delle relazioni con le persone che hanno lasciato un segno nella sua vita personale.

Quel che emerge da questo documentario è la sottile linea rossa che collega Orosei e Milano, felicità e malessere, fragilità e scrittura, e la lente attraverso cui osserviamo i legami che la vita di Mahmood ha tracciato è una lente che cambia forma e assume posture sempre diverse: animazione, filmini di famiglia, testimonianze di amici e familiari. Il documentario cambia stile, cambia forma e si adatta alla storia personale di Mahmood.

Mahmood si racconta nel docu-film di Giorgio Testi, liberandosi un po’ del suo silenzio

Mahmood recensione

In particolare ci si sofferma sull’importanza e la centralità della figura della madre, Anna Frau, ed è proprio lei che ci offre le prospettive, gli sguardi e le parole più belle e profonde del film. In primis lasciandoci entrare nella sua infanzia, descrivendolo come un bambino sempre sorridente, a cui piaceva stare sul palcoscenico, cantare ed esibirsi. La strada per il successo è costellata di studio, programmi televisivi, concorsi canori e molte delusioni, a cominciare dall’eliminazione a X Factor, definita da lui stesso “la delusione più grande della mia vita”.

Eppure in questo docu-film ciò che si nota è l’esemplare riservatezza del cantautore, sempre incisivo, riflessivo, molto posato, asciutto, che ragiona molto prima di parlare e non si sbilancia mai: “Non sono mai stato bravo a parlare di me, per questo ho iniziato a scrivere canzoni”, afferma durante l’intervista.

Ed è attraverso i suoi testi, le sue composizioni che si esprime al meglio, con la sua autenticità; sono le sue canzoni che poi dialogano con il pubblico, e attraverso cui il pubblico lo vede e si rivede, in quella verità, instaurando un dialogo vero, perpetuo e percettibile. Questo è il suo talento più grande, comunicare il suo mondo a offrirsi da specchio per generazioni di persone, emozionare e scrivere, liberandosi un po’ del suo silenzio.

Mahmood approderà in sala dal 17 al 19 ottobre con Nexo e dal 15 novembre su Prime video.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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