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Avengers: Infinity War – La nostra recensione

Lo so, lo so: ci ho messo un po’ a far uscire questa recensione, ma mi darete ragione se dico che Avengers: Infinity War non è esattamente un film semplicissimo, essendo la summa di 10 anni di Universo Cinematografico Marvel.

Fino a pochi giorni fa avevo un mare di pensieri in testa, tutti incastrati e attorcigliati tra loro, e non sapevo da che parte iniziare per scrivere la recensione. Poi mi è venuta un’idea: perché non sfruttare l’aiuto delle sei gemme dell'infinito? E ha funzionato! Ci credo che Thanos si è sbattuto tanto per cercarle in giro per l’universo.

La nascita dell'MCU

Torniamo indietro nel tempo. Siamo nel 1998 ed una Marvel in bancarotta offre a Sony i diritti cinematografici di quasi tutti i suoi supereroi per la modica cifra di 25 milioni di dollari ed un panino al salame. Ma Sony non è d'accordo e decide di acquistare esclusivamente i diretti di Spider-man. Tutti gli altri supertizi di serie B… ehm, com’è che si chiamano? Iron Man, Thor e Black Panther teneteveli pure, grazie.

La Marvel se ne sta così qualche anno, con le pive e i supereroi nel sacco, fino a quando, visto il successo di film come X-Men e lo Spider-man di Raimi, nei primi anni 2000 decide di portare i personaggi di cui ha i diritti al cinema. I film però vogliono essere esclusivamente un espediente per raccimolare qualche paperdollaro in più dalla vendita di giocattoli e pupazzetti e basta. Infatti viene organizzato un focus group con alcuni bambini che alla domanda “Con quale personaggio vorresti giocare?” (e non “Quale personaggio vorresti vedere al cinema?”) rispondono in coro "l’Uomo lattina". Così Iron Man viene decretato vincitore e bum, il resto è storia. A parte il fatto che viene scelto Robert Downey Jr come interprete perché costa meno di Colin Farrell e Patrick Dempsey. E meno male, aggiungerei io, perché ve lo immaginate un Tony Stark versione dottorino di Grey's Anatomy?

E così, un progetto preso a cinquine in faccia dai più diventa una vera macchina fabbrica soldi e i Marvel Studios conquistano il potere di dettare legge nel fantastico regno dei blockbuster hollywoodiani. Ma come, vi state chiedendo? Bè, in primis grazie alla creazione sul grande schermo di un unico mondo coeso e coerente, portando la filosofia della serialità dalla TV al cinema e dando vita all'MCU, nel quale ogni film è collegato da una lunga scia di briciole che punta al season finale. Idea, quella dell'universo condiviso, che ha cambiato il modo di fare cinema e alla quale sia Warner, con i personaggi DC, che Universal, con i suoi mostri, stanno cercando di adattarsi. Male. E pensare che Kevin Feige, per i nemici "Kevin mani di forbice", il supremo burattinaio dei Marvel Studios, aveva buttato i semi dell'MCU sin dal primo Iron Man del 2008, ancora prima di sapere se il progetto avrebbe riscosso successo o no.

Iò bello di Infinity War è quindi proprio questo: non essere un capolavoro come film a sé stante, ma essere il compimento del progetto dell'MCU, innalzando così anche i 18 capitoli precedenti al suo stesso livello.

Ma i Marvel Studios da quale cilindro magico l'avranno mai tirata fuori questa genialiata? Semplice, dando spazio ai fumetti! Infatti l'MCU non è altro che un omaggio allo stesso universo creato dai padri del fumetto. La casa cinematografica ha lavorato come si deve, adattando le storie delle pagine stampate al linguaggio e ai dettami cinematografici. Non si sono approcciati come, per dirne una caso, Warner con Lanterna Verde, ovvero maciullando una storia di cui si sono letti sì e no le prime dieci righe su Wikipedia solo per renderla meno complicata e più adatta allo spettatore medio.

I signori dei Marvel Studios dimostrano di conoscere il materiale di partenza, a volte utilizzando chiavi di lettura ed interpretazioni diverse, ma sempre coerenti con l'originale. Un esempio? Il paradosso di Thanos (che detto così sembra il titolo di un episodio di The Big Bang Theory): mentre nei fumetti il titano rastrella l'universo alla ricerca delle gemme dell'infinito e le incastona nel suo guanto dorato per attirare l'attenzione della Morte, della quale è disperatamente innamorato, in Infinity War fa quello che fa in onore della vita, come estremo gesto d'amore nei suoi confronti.

Parliamo di Avengers: Infinity War

Il cambio di rotta di Thanos trasforma la pellicola in un film pieno di buoni sentimenti: Infinity War è quindi un film sull'amore. Non un amore fricchettone, stile "peace & love" o "mettete dei fiori nei vostri cannoni al plasma", e neppure un amore brillante come in Notting Hill. In realtà è più simile a Titanic ed ospita storie d'amore quanti i membri del Black Order: abbiamo Iron Man con Pepper Potts, Gamora con Star Lord, Visione con Scarlett Witch e Captain America con il suo nuovo ciuffo da hipster.

Starà facendo i salti di gioia James Cameron che per esprimere tutto il suo apprezzamento verso i cinecomics ha recentemente dichiarato di non vedere l'ora che la gente si stufi di film come Avengers, ma non perché film di altro genere possano avere più spazio al cinema, come ha detto lui… Soltanto perché gli bruciano i ciapett di fronte ai risultati al box office di Infinity War e ha paura che diventi il film con il maggior incasso di sempre superando i suoi Titanic e Avatar, rispettivamente secondo e primo in classifica.

Ma torniamo a noi. Confesso di aver visto Infinity War ben due volte e non è stato facile metabolizzarlo per poter fare qualche riflessione a mente fredda: partiamo dal gruppo Thor, Groot e Rocket Racoon – anche detto Team Occhio per occhio – e da quanto mi sia piaciuto. È sicuramente il raggruppamento inedito meglio riuscito del film, con un Rocket ganzo come d'abitudine, un Groot parcheggiato in un angolo per ¾ del film come fosse un adolescente vero e proprio ma che nel momento del bisogno si dimostra il vero Groot che abbiamo imparato ad amare. E poi c'è Thor. Un Thor perfetto, brillante al punto giusto, strapotente e finalmente con una gravitas che un dio del tuono non può non avere.

Passiamo dunque al Team Wakanda, detto anche Team Under the dome, capitanato da Black Panther e da Captain Merchandise, perché dai, non prendiamoci in giro: quello non è Steve Rogers, ma la sua versione action figure! La faccia ha qualcosa di strano, esattamente quel qualcosa di strano che hanno le figure identiche ma con un grosso ma della Hot Toys.

Scherzi a parte, tutto molto bello tranne: Bruce Banner e Visione.

Banner è talmente ridicolo da far salire la violenza e sembra l'ultimo vero strascico di Ragnarok. La sua lotta interiore con Hulk, che non vuole più uscire dopo la batosta presa da Thanos, porta nel film un umorismo becero di cui non solo non si sentiva la necessità, ma che sarà piaciuto soltanto agli afficcionados dei cinepanettoni. Ci mancava una scorreggia mentre era nell'Hulkbuster ed eravamo a posto.

E poi Visione, che da personaggio potente e cazzutissimo, mi si trasforma in una DID, donzella in difficoltà. Ma proprio dal suo essere super-pippa nasce una grande riflessione: non appena si fa chiaro che per fermare Thanos basterebbe distruggere la gemma della mente e far fuori Visione io continuavo a dirmi “Se con la sua morte salviamo una fraccata di gente, facciamolo flambé, chissenefrega!” Ma poi ecco che arriva Cap a bacchettarmi, perché, anche se hipster, rimane pur sempre un maestrino: “Noi non scambiamo vite”! Ed è proprio questa la vera differenza tra i buoni e Thanos: perché se lui è disposto a uccidere Gamora – l'unica persona a cui abbia mai voluto bene – pur di mettere le mani sulla gemma dell'anima, Cap & co. non sono disposti a sacrificare vite (neppure quella di un automa inquietante), anche a costo di dover dire bye bye a metà della popolazione dell'universo.

Ma se a prendere tale decisione ci fosse stato Tony Stark, siamo sicuri avrebbe agito allo stesso modo? Guardiamo in faccia alla realtà: mentre Cap è un eroe classico, senza macchia e senza paura, che tira avanti come un treno seguendo a volte ottusamente i suoi ideali, Iron Man è decisamente più complesso. Guidato dalla razionalità e dal greater good, Stark ha dimostrato più volte in passato che, pur agendo in nome del bene, si possono commettere errori madornali (ce lo ricordiamo Ultron?). E in questo è simile a Thanos, somiglianza che gli riconosce lo stesso villain quando gli confessa il suo "respect" e non lo spappola come un uovo di piccione sulla superficie del pianeta Titano.

Riprendendo il punto, è proprio il gruppo di supertizi che si ritrovano per il brunch su Titano, chiamiamolo Team Titan (come i Teen Titans ma, con Team al posto di… insomma, l'avete capita) a darmi più grattacapi. Tra Tony Stark e Doctor Strange c'è poca alchimia (altra battuta brutta) e poi Star Lord… Diciamo che, se nei Guardiani della galassia sembra un figo, nell'economia di un film degli Avengers, dove è messo in parallelo con personaggi che fighi lo sono oggettivamente, Peter Quill finisce per essere soltanto uno scemotto ad un panino dall'obesità, per citare quel dolce coniglio di Rocket Raccoon.

In Infinity War è Doctor Strange il vero uomo chiave della situazione, colui che incarna il classicone “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Prima chiarisce a Stark e Spidey che se avesse dovuto scegliere tra salvare le loro vite e la gemma del tempo avrebbe sempre optato per la gemma, poi Strange si contraddice e la consegna volutamente a Thanos per risparmiare Iron Man pronunciando la frase: “Tony, non c'era altro modo”. Sarà stato un atto di misericordia dello stregone? Oddio, spero di no! Lui non è un sentimentalone. Ricordiamoci che ha visto tutti i 14 milioni di finali possibili della guerra contro Thanos, compreso l'unico in cui il cattivone veniva sconfitto. E ovviamente il consegnare la gemma al titano faceva parte di un suo intelligentissimo piano. Vero? Vero? E tutti quelli che muoiono torneranno in vita, no? E Occhio di Falco sarà ancora vivo, giusto? Quanto manca all'uscita di Avengers 4?

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