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Cultura

I musei del futuro saranno “digitali”

Entrai nella Cattedrale dell'Almudena quasi per caso. Ero sola, in vacanza, con il Palacio Real de Madrid alle mie spalle e una voglia tremenda di scoprire qualcosa di più su una città che sembrava pronta a stupirmi ad ogni passo.

Entrai spinta dal fascino architettonico di questa enorme chiesa di fine '800 per poi ritrovarmi immersa in una specie di museo dedicato unicamente al Papa. Non quello attuale naturalmente, ma ai suoi predecessori, con oggetti e vesti più o meno sacri sparsi per un'intera ala della cattedrale. Ad aiutarmi a compredere cosa stessi effettivamente vedendo non c'era alcuna guida, nessun manuale, ma un sito web. Sì, avete capito bene: collegandosi al WiFi di questo tempio della cristianità (sì, la cattedrale ha la sua rete wireless), si veniva catapultati all'interno di una pagina, disponibile in più lingue, con una serie di tracce audio pensate per guidare i visitatori all'interno del museo e successivamente della chiesa. Un'idea semplice, brillante e tutto sommato economica che ha reso la visita piacevole ed istruttiva.

Perché ve lo racconto? Perché è quello a cui ho pensato all'inizio delle 3 ore passate all'interno del Piccolo Teatro Grassi di Milano in occasione del Convegno "Beni e attività culturali: l'alba del rinascimento digitale", organizzato dall'Osservatorio Innovazione Digitale del Politecnico di Milano. Ho pensato alla Cattedrale dell'Almudena per farmi coraggio, immaginandomi di passare un'intera mattinata a sentire solo scuse, scuse sul perché il nostro Paese sia ancora arretrato quando si parla di innovazione digitale. Le cose però sono andate molto diversamente.

Non vi mentirò dicendovi che i musei dei Bel Paese sono tutti tecnologicamente avanzati e pronti a balzare nel nuovo millennio, ma posso onestamente dirvi che il fermento che serpeggia tra le istituzioni culturali è sano e palpabile. A tratti sorprendente.

I musei italiani sembrano essersi svegliati da quel torpore che ha creato una situazione di stallo per anni e che ha portato la gente ad allontanarsi da istituzioni che in realtà hanno ancora tanto, tantissimo da dire e da raccontare.

Facciamo quindi il punto della situazione.

Social e siti web: il primo passo è la comunicazione

Sembrerà banale e scontato ma è indubbiamente vero: il primo passo verso l'innovazione digitale è sempre la comunicazione, comunicazione che passa attraverso due canali che la mia generazione dà quasi per scontati, il sito web e i social network.

Il 52% dei musei monitorati dall'Osservatorio ha almeno un account su uno dei social network al momento più utilizzati, ossia Facebook, Twitter ed Instagram. Una percentuale all'apparenza bassa ma significativa considerando che fino a qualche anno fa la maggior parte di queste strutture non era minimamente presente sul web.

Esserci però non è sufficiente. Quello che serve, e che purtroppo tende ancora a mancare, è una strategia efficace; una strategia che non può e non deve basarsi unicamente sul "Oggi il biglietto costa meno" o "Guardate questa offerta imperdibile per il weekend!". La verità è che alla gente non piacciono i messaggi promozionali: le persone vogliono contenuti, contenuti capaci di creare una community, di incuriosire e di generare quindi più interazioni. Insomma, se vogliamo che i visitatori si affezionino alla struttura e alle sue iniziative è necessario fare uno sforzo in più.

I social media fungono poi da enorme passaparola quindi saperli gestire e sfruttare non fa che attrarre sempre più gente. Vi faccio un esempio tutto italiano. Il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma è, ad oggi, una delle strutture più innovative del nostro Paese, una di quelle che non ha paura di sperimentare e di lanciarsi nel digitale. Tra i progetti realizzati recentemente c'è "Te la spiego io l'architettura contemporanea!", che ha coinvolto 60 liceali che hanno realizzato video sul quartiere Flaminio per poi caricarli sul canale YouTube del museo. Interessante anche il progetto "Uno spot per Istanbul", con l'educatore incaricato delle visite alla mostra Istanbul. Passione, gioia, furore dotato di tablet, a cui spettava il compito di chiedere ai ragazzi di scattare una foto con il proprio smartphone in determinati punti del museo per poi condividere la loro preferita sui loro account. Immaginate l'impatto di un'iniziativa simile sui socia media e il ritorno per il MAXXI.

Simile è il discorso sui siti web. Il 57% dei musei italiani ha finalmente un suo portale ma questo non basta. Spesso infatti i siti risultano scarni, lacunosi, poco intuitivi, esclusivamente in italiano e privi di indicazioni basilari. Naturalmente non mi aspetto che nel giro di pochi mesi tutte le istituzioni culturali rendano possibile la consultazione online delle proprie collezioni, o di una parte di esse, o addirittura creino percorsi virtuali per coloro che non hanno la possibilità di andare a visitare fisicamente il museo. Sarebbe irrealistico. Quello che invece mi aspetto di trovare a breve sono informazioni come l'indirizzo del museo in homepage ed indicazioni su come raggiungerlo, linee guida per categorie speciali come i disabili, i gruppi e le famiglie, indicazioni su come acquistare il merchandising del museo o fare donazioni nel caso io abbia apprezzato particolarmente l'esperienza.

Un'ulteriore passo avanti dovrebbe essere rappresentato dalla biglietteria online. Spesso e volentieri l'acquisto di biglietti tramite il sito web è riservato alle sole manifestazioni a numero chiuso, mentre in realtà le istituzioni culturali italiane dovrebbero imparare ad aprire questo tipo di canale a qualsiasi evento o mostra. I motivi? Permettono di saltare la coda, di prenotare – volendo – servizi collegati alla visita e offrono al museo una banca dati inestimabile.

Il futuro? Startup e applicazioni

L'innovazione tecnologica però non passa solamente da siti web e social. Marketing e comunicazione infatti sono solo una parte della complessa macchina museale, una parte che promuove eventi e iniziative e che permette di misurarne il successo, ma che di certo non basta a traghettare le istituzioni culturali italiane verso la nuova era.

Al centro di tutto infatti dovrà esserci la rivoluzione della fruizione, ossia un nuovo modo di vivere il museo, che metta al centro i visitatori sfruttando ovviamente le nuove tecnologie. Tante le soluzioni proposte e discusse dall'Osservatorio per l'Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, partendo da quelle più semplici fino ad arrivare a quelle più complesse.

Si parte in primis dai famigerati QR code, codici che possono essere scannerizzati con la fotocamera dello smartphone e che reindirizzano l'utente ad una pagina web definita che includa, ad esempio, informazioni su un'opera d'arte particolare o su un determinato artista, ma anche contenuti multimediali come video o tracce audio che possano fungere da guida.

Anche le applicazioni potrebbero risultare una strategia vincente, tanto da essere uno dei settori più frequentati dalle startup del nostro Paese, ormai specializzate nei servizi di supporto alla visita in loco, a discapito dell'ambito delle prenotazioni e della biglietteria dove colossi come TicketOne la fanno da padroni. Quello che però farà la differenza sarà la scalabilità dei progetti ideati dalle startup italiane: non basta avere un'idea legata al proprio territorio, serve la certezza di poter allargare il proprio business a livello nazionale ed internazionale per poter poi sopravvivere. Insomma, sviluppare un'app per il museo della propria città non è certo sufficiente: i giovani imprenditori devono pensare in grande, tenendo in considerazione tutte le moderne tecnologie e tutte le categorie.

Qualche esempio? Il progetto Glass 4 LIS, sviluppato dall'italianissima e ormai affermata Vidiemme Consulting. L'iniziativa risale ormai a 3 anni fa ma trovo sia una delle soluzioni più intelligenti tra quelle recentemente adottate in Italia. In sostanza, per rendere accessibile il Museo Egizio di Torino anche ai non-udenti, sono stati adottati i Google Glass per poter affiancare all'opera una serie di video capaci di spiegarne il significato e la storia tramite la lingua italiana dei segni. Un'idea che non solo ha permesso a decine di audiolesi di godersi appieno il museo ma che, in prospettiva, può essere sviluppata ed estesa anche a molte altre strutture museali.

Impossibile poi dimenticare le due mode del momento: la realtà virtuale e quella aumentata. La prima risulta particolarmente adatta allo sviluppo di contenuti fruibili anche nella comodità della propria casa. Insomma, in un prossimo futuro potrebbe essere possibile passeggiare tra le collezioni di grandi musei senza dovervisi recare fisicamente. Una follia? Assolutamente no. Basti pensare che da settembre la collezione Terrae Motus della Reggia di Caserta è facilmente visitabile sul sito web dedicato grazie allo sforzo compiuto dal Cineca di Bologna e alla lungimiranza del direttore Mauro Felicori.

Per quanto riguarda invece l'esperienza on-site è probabile che il futuro sia invece rappresentato dalla realtà aumentata. Immaginatevi di visitare il museo avendo la possibilità di affiancare all'opera, grazie a tecnologie come HoloLens o Magic Leap, le informazioni che più vi interessano o una serie di video con contenuti aggiuntivi. Insomma, un giorno Leonardo stesso potrebbe farvi da cicerone all'interno del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano a lui intitolato.

Le tecnologie a disposizione sono quindi tantissime e in continuo aumento. Bisogna solo trovare l'idea giusta e lanciarsi.

Paure e difficoltà

A questo punto è impossibile non chiedersi quale sia il problema, il vero ostacolo. Cosa impedisce ai musei di entrare in questa nuova era? Cosa li obbliga ad andarci con i piedi di piombo?

In primis dobbiamo – ahimè – considerare una serie di difficoltà oggettive. Investire sulla tecnologia non è solo una questione di coraggio, ma anche di fondi. I musei sono abituati a pensare in termini di "budget annuale", ma passare alla realtà virtuale o alle app richiede piani pluriennali ed uno sforzo strategico ed economico non indifferente.

A rendere tutto più difficile ci pensa la burocrazia, grande dramma di questo nostro Paese. Le nostre istituzioni culturali possono anche ideare soluzioni innovative e pianificare tutto del dettaglio, ma poi rischiano di imbattersi nei cavillosi rallentamenti della macchina burocratica. Insomma, i tempi della pubblica amministrazione potrebbero rendere vecchio un programma che un anno prima sarebbe stato considerato rivoluzionario.

Infine non dobbiamo dimenticarci il problema generazionale. Molto spesso i musei sono guidati da personalità che – non me ne vogliano – non sono esattamente giovanissime e che hanno oggettive difficoltà a capire le esigenze dei cosiddetti Millennial o il funzionamento e l'utilità delle moderne tecnologie. È necessario quindi trovare nuove figure ibride, capaci di mediare tra le esigenze di istituzioni storiche e l'era digitale.

Le difficoltà oggettive però non sono l'unico scoglio da superare. Accanto ad esse ci sono infatti le paure. In primis quella della svalutazione dell'opera. L'innovazione tecnologica non deve sostituire capolavori pittorici e monumenti e non deve nemmeno distrarre; il digitale deve affiancare ed esaltare i contenuti facendone capire l'importanza. Un'operazione decisamente più complessa di quanto sembri.

È impossibile poi non considerare l'incertezza reputazionale. Che significa? Che apportare dei cambiamenti radicali, allontanarsi dalla tradizione, potrebbe minare la reputazione di istituzione con decenni di attività alle spalle. Un rischio che chiunque faticherebbe a correre e che richiede lunghe discussioni e un'attenta pianificazione prima di poter trarre le adeguate conclusioni e di fare le dovute scelte. Provate a pensare quanto sia stato lungo il confronto tra le parti coinvolte nella digitalizzazione dei manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana. Sì, è vero, ora abbiamo 10.000 manoscritti che sopravviveranno all'usura del tempo, di cui 6.000 già consultabili gratuitamente online, ma questo è frutto di un lavoro lungo e laborioso e di una strategia non certo ideata nell'arco di una notte.

Quanto dovremo aspettare?

Lo so, vi starete indubbiamente chiedendo quanto dovremo aspettare prima di vedere i nostri musei rivoluzionati dalla tecnologia. Probabilmente ancora parecchio. Gli ostacoli sono tanti, ma il lavoro dell'Osservatorio del Politecnico di Milano contribuirà sicuramente a dare un'ulteriore spinta al settore. Come? Prima di tutto mostrando alle vari istituzioni quali sono le possibilità, le strade da esplorare, e in secondo luogo facendo capire loro che no, non sono da soli. Questa non è la battaglia di un singolo museo, ma lo sforzo condiviso di tutti gli enti coinvolti, uno sforzo che chiede a tutti un piccolo sacrificio ma che porterà grandi benefici ad un intero Paese.

Voi cosa ne pensate? Come vi aspettate il museo del futuro?

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Erika Gherardi

Amante del cinema, drogata di serie TV, geek fino al midollo e videogiocatrice nell'anima. Inspiegabilmente laureata in Scienze e tecniche psicologiche e studentessa alla magistrale di Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia.

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