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I costi e i danni ambientali dei resi online

Inchiesta di Greenpeace

Comprare online è senza dubbio comodissimo. Ed è operazione ancor più rassicurante quando il prodotto acquistato è restituibile senza costi aggiuntivi per un determinato periodo.

E così, tutti a ordinare online temperamatite da 0,99 euro. Non badando agli involucri di carta e plastica che li avvolgono e che hanno fatto il giro del mondo prima di arrivare a noi. E non badando soprattutto, se quel temperamatite non fosse del colore gradito e noi lo rispedissimo al mittente, al costo e all’impatto ambientale del reso online.

Argomento sul quale dovremmo riflettere. E sul quale si è soffermato Greenpeace, con un’inchiesta in parte anticipata dalla trasmissione Report. Vediamo di cosa parla l’indagine sul peso, economico e ambientale, dei resi online.

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Resi online: l’inchiesta di Greenpeace

Greenpeace Italia, in collaborazione con la trasmissione Report di Rai 3, ha condotto un’indagine sui resi online dei capi d’abbigliamento del fast fashion, “disvelando la filiera logistica, le migliaia di chilometri percorsi e l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 equivalente.”

Parte dell’indagine è stata presentata proprio a Report, nella puntata di domenica 11 febbraio. La ricerca è stata poi pubblicata sul sito ufficiale di Greenpeace.

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L’indagine sui resi online

L’indagine sui resi online è stata così strutturata: sono stati acquistati 24 capi d’abbigliamento del fast fashion sulle piattaforme e-commerce di otto tra le principali aziende del settore. E cioè Amazon, Temu, Zalando, Zara, H&M, OVS, Shein e ASOS.

Prima di effettuare i resi online, Greenpeace e Reporthanno nascosto un localizzatore GPS nei vestiti, in modo da tracciarne gli spostamenti. Quali i risultati?

Una media di 4.502 chilometri a prodotto

In meno di due mesi (58 giorni), i pacchi hanno complessivamente percorso circa 100.000 mila attraverso 13 Paesi europei e la Cina.

La distanza media percorsa da ogni prodotto, tra consegna è reso, è stata di 4.502 chilometri. Si va da un minimo di 1.147 km a un massimo di 10.297 km.

“I 24 capi di abbigliamento sono stati venduti e rivenduti complessivamente 40 volte, con una media di 1,7 vendite per abito, e resi per ben 29 volte. A oggi, 14 indumenti su 24 (pari al 58%) non sono ancora stati rivenduti.”

Il principale mezzo di trasporto utilizzato è stato il camion. Poi aereo, furgone e nave.

Per quanto riguarda le singole aziende, come era prevedibile tutti i capi di abbigliamento di Temu sono stati spediti dalla Cina e hanno percorso oltre 10.000 chilometri. Due capi di abbigliamento di ASOS hanno viaggiato, in media, per oltre 9.000 chilometri attraverso ben 10 Paesi europei. ASOS, Zalando, H&M e Amazon sono in testa per numero medio di rivendite del prodotto: 2,25 volte.

L’impatto ambientale dei resi online

Greenpeace, grazie alla collaborazione con la start up INDACO2, ha potuto anche fare una stima delle emissioni prodotte dalla spedizione e dal reso online dei capi d’abbigliamento.

L’impatto ambientale medio del trasporto di ogni ordine e reso corrisponde a 2,78 kg di emissioni di CO2. Va inoltre considerato che il packaging (ossia il confezionamento) pesa sul totale per circa il 16%.

In media, per confezionare un pacco sono stati usati 74 grammi di plastica e 221 grammi di cartone. Prendendo come esempio l’impatto di un paio di jeans (del peso medio di 640 grammi), la spedizione e il reso comportano un aumento di circa il 24% delle emissioni di CO2.

Il costo medio del carburante per il trasporto di un capo è stato stimato in 0,87 euro.

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Il commento

L’indagine di Greenpeace e Report sui resi online è stata commentata da Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

Ungherese ha detto: “La nostra indagine conferma come la facilità con cui si possono effettuare i resi nel settore del fast fashion, quasi sempre gratuiti per il cliente, generi impatti ambientali nascosti e molto rilevanti.

Mentre alcune nazioni europee hanno già legiferato per arginare o evitare il ricorso alla distruzione dei capi d’abbigliamento che vengono resi al venditore, lo stesso non può dirsi per la pratica dei resi facilitati, che incoraggia l’acquisto compulsivo di vestiti usa e getta, con gravi conseguenze per il pianeta”.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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