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Simon, il gioco che sviluppava la memoria (e faceva saltare i nervi). La macchina del tempo

È stato un oggetto di culto degli anni Ottanta del Novecento

I giochi elettronici, che alle nostre latitudini hanno fatto il loro dirompente ingresso negli anni Ottanta del Novecento, hanno cambiato il modo di divertirsi dei bambini.

Niente più ginocchia sbucciate, risse per un gol contestato o per un punto dubbio a pallavolo. Niente più inseguimenti, giri in bici, tiri alla fune o gare di trottole.

I parchi e i giardini pubblici erano improvvisamente svuotati di giovani e giovanissimi, che si riunivano nelle case di chi possedeva le prime console o i primi schiacciapensieri.

Genitori e nonni, in fondo, potevano stare più tranquilli: figli e nipoti se ne stavano chiusi in cameretta, o tutt’al più in sala.

Di solito vigeva un certo silenzio, tranne che per qualche urlo improvviso, che non di rado era il preludio di un’irrefrenabile crisi isterica.

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Questo perché le prime diavolerie elettroniche portavano con sé un concetto nuovo: più si diventava abili, più crescevano coinvolgimento e divertimento. D’accordo. Ma il guaio è che a un certo punto si perdeva.

Pocket Simon

Simon, il gioco crudele

Questo sadismo era una rivoluzione copernicana: nei giochi all’aperto, individuali o di gruppo, uno (o una squadra) vince e l’altro (o l’altra) perde.

Non era più così. Tutti perdevano, il giochino vinceva. Tranne rarissimi casi in cui il campione (figura leggendaria e mai vista di persona da nessuno) riusciva a completare l’intero gioco. E arrivare, nei casi di videogiochi spaziali, a distruggere addirittura l’astronave madre.

Ma in generale si perdeva, insomma. E Simon era un gioco tra i più crudeli in questo senso.

Ve lo ricordate? Aveva un aspetto innocente, quasi simpatico, e un’eventuale sconfitta la si accettava anche col sorriso. Solo se avveniva entro i primi trenta secondi.

Ma che gioco era il Simon?

Cos’era Simon

Simon era un gioco elettronico consistente in un disco plasticosissimo con quattro pulsantoni colorati: uno rosso, uno giallo, uno verde e uno blu.

I pulsanti si illuminavano in una sequenza casuale, e ogni pulsante colorato emetteva un suono differente. Il malcapitato giocatore doveva pigiare i tasti nell’ordine in cui si erano illuminati. Quando indovinava, la sequenza si ripeteva con l’aggiunta di un’ulteriore illuminazione (e suono).

Tramite un pulsante si poteva variare la difficoltà del gioco, sino ad arrivare alla consunzione psicofisica.

Breve storia di Simon

Il gioco Simon è stato ideato da Ralph Baer (nientemeno che l’inventore della prima console) e Howard J. Morrison.

Prodotto dalla mitica Milton Bradley (più nota forse, almeno dalle nostre parti, come MB, poi acquistata dalla Hasbro), il gioco elettronico Simon è stato lanciato sul mercato americano nel 1978, e in pochi anni ha conquistato il mondo.

Sono esistite anche versioni tascabili (o quasi), da tavolo ed evolute, come il Simon Trickster, con opzioni da veri esperti: ad esempio, i quadranti non apparivano colorati.

Perché si chiamava così

Ma perché il gioco Simon si chiamava così?

Bella domanda. Perché era in qualche modo la versione elettronica (e perversa) di un vecchio gioco popolare per bambini, celebre soprattutto nella cultura anglosassone. Il nome del gioco era Simon says (Simone dice), e consisteva nell’eleggere un Simon, l’aguzzino di turno. Il quale, iniziando ogni volta la frase con le parole “Simon dice”, impartiva un preciso ordine ai concorrenti, che dovevano eseguirlo alla lettera.

Chi non riusciva, era eliminato. Gli ordini impartiti senza le parole iniziali “Simon dice” non dovevano essere eseguiti. Se uno eseguiva l’ordine privo di quell’incipit, veniva comunque eliminato.

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Dalla strada alla cameretta

In effetti il gioco elettronico Simon, proprio perché proveniva da un gioco popolare che richiedeva fantasia e… spazio, ci fa ripensare con meno ironia al nostro ragionamento iniziale.

È infatti un’impietosa testimonianza di come l’elettronica abbia piano piano trasportato il mondo reale in quello virtuale, anche nel segmento ludico. Così come Simon says è diventato il gioco Simon, allo stesso modo tutti gli sport hanno presto avuto il loro corrispettivo nei giochi elettronici.

Con buona pace della forma fisica, giochi e giochini “privati” hanno sviluppato altre competenze, hanno allenato sempre di più la prontezza di riflessi che i polmoni.

E in effetti, specie se pensiamo al gioco Simon, hanno aperto la strada alle piccole e grandi frustrazioni e nevrosi tipiche delle generazioni future, che in percentuale sempre più ampia si sono ritrovate a lavorare per otto ore al giorno col naso contro lo schermo di un computer.

Va bene così, è il progresso. Ma quanta nostalgia per le ginocchia sbucciate.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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